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Le tipologie della conoscenza

Si può percorrere Napoli in poco tempo, molto ne occorre per visitarla. Si possono scegliere varie tipologie di viaggio; una è quella casuale, girando senza programmi e senza mete per vicoli e quartieri, come una trottola impazzita, e diventare parte del caos urbanistico di alcune zone, dove il cemento, errori ed orrori architettonici nascondono le manifestazioni del passaggio dei secoli. Ed ogni occhiata in alcuni palazzi e piazze può provocare una scoperta personale, evidenziare un portale durazzesco-catalano tra impalcature ed edicole di giornali, o una finestra ad ogiva sopra un negozio di abbigliamento, o un capitello che esce a stento da un muro di mattoni.

Oppure all’inverso si può effettuare un viaggio ragionato, con libro-guida e cartina, dalla Napoli sotterranea greco-romana, agli edifici del Sette-Ottocento.

Oppure la si può iniziare ad amare rivivendo nelle loro impressioni scritte i viaggi a Napoli di artisti e letterati stranieri, soprattutto nei secoli scorsi. Così amo io fare spesso, quando per un gusto di assolutezza del piacere, bramo di conoscere non solo con i miei occhi, ma anche con quelli di chi vedeva, in altra epoca, della stessa città un’altra Napoli.

Trascrivo qualche loro frase; a proposito del miracolo di San Gennaro, questo annotava l’abate di Saint-Non nel 1760: …Posso assicurarvi di non aver mai visto in vita mia uno spettacolo più terribile e spaventoso di tutta quella folla di gente riunita per la cerimonia. Tutti sanno che San Gennaro è il Patrono e il Dio dei napoletani, ma per avere un’idea del rispetto e dell’adorazione che questa gente porta al santo bisogna aver sperimentato la specie di delirio, di frenesia e perfino di furore che provano in quel giorno; e allora sono quelli che vengono chiamati lazzaroni, cioè il popolo più vile di Napoli, che diventano i padroni della città e non c’è più polizia o autorità che tenga; se poi il miracolo non si dovesse avverare, ci si potrebbe aspettare ogni sommossa e avvenimenti terrificanti.

E questo era a Napoli il carnevale, negli appunti di viaggio di D.A.F. de Sade, nel 1776: …Il tutto si aprì con una cuccagna, il più barbaro spettacolo di questo mondo. Su un grande palco ornato con decorazioni rustiche, si pone una enorme quantità di viveri, disposti in modo da comporre essi stessi una parte delle decorazioni. Vi sono, barbaramente crocifissi, oche, polli, tacchini, che, infissi ancora vivi a due o tre chiodi, divertono il popolo con i loro movimenti convulsi fino al momento in cui gli sarà permesso di andarli ad arraffare.

In una lettera, datata 1765, Sharp scriveva dei teatri: …Nell’arrivare in una città così grande e così rinomata come Napoli, primo desiderio di un forestiere è di assistere agli spettacoli. Son dati nel teatro del Re, ove si rappresenta l’opera seria, e in due teatri più piccoli, chiamati l’uno il Teatro Nuovo, l’altro quel dei Fiorentini; in tutti e due questi ultimi si rappresentano soltanto opere comiche. V’è pur un teatrino assai meschino per la rappresentazione delle commedie, ma a Napoli il teatro di prosa è così poco incoraggiato che i signori assistono di rado a una commedia, ritenuta piuttosto un divertimento per il popolo o, almeno, per il mezzo ceto.

Riferendosi ad una serata di gala al teatro San Carlo, Dumas nel 1835 dichiarava: …La folla italiana, all’opposto della nostra, non affronta mai una musica sconosciuta. No, a Napoli soprattutto, dove la vita è tutta di felicità, di piacere, di sensazioni, si teme troppo che la noia ne appanni qualche ora. Occorre a questi abitanti del più bel paese della terra una vita come il loro cielo con un sole bruciante, come il loro mare con i flutti che riverberano il sole. Quando si è ben constatato che l’opera è di primo merito, quando si è stabilita la lista dei prezzi che bisogna ascoltare e di quelli durante i quali ci si può muovere, oh, allora ci si affretta ci si stipa, si soffoca; ma tal voga non comincia se non fra la sesta e l’ottava rappresentazione: in Francia si va a teatro per esibirsi, a Napoli ci si va per godere.

Poi c’è il Vesuvio; in una lettera del 22 dicembre 1818, Percy Bysshe Shelley affermava: …Il Vesuvio, dopo i ghiacciai, è la più impressionante esibizione delle energie della natura che ho mai visto. Non ha la incommensurabile grandezza, la irresistibile magnificenza né, sopra tutto, la radiante bellezza dei ghiacciai; ma possiede tutta la loro caratteristica forza, tremenda e irresistibile. Da Resina all’eremo si sale serpeggiando per la montagna, si attraversa un vasto flusso di lava indurita, che è una immagine delle onde del mare tramutate per incantesimo in pietra dura. I lineamenti del flusso ribollente sembrano pendere nell’aria ed è difficile credere che i marosi, che sembrano precipitarti addosso, non siano realmente in movimento. Questa pianura una volta era un mare di fuoco liquido.

Si potrebbe continuare con gli scritti di Goethe, Chateaubriand, e altri.

E c’è ancora un altro modo, per innamorarsi di Napoli, ed è quello che segue; trovare un’opera d’arte che ne sintetizzi la realtà, ed abbia i segni della cultura dei suoi secoli passati.

A Napoli tale opera è nel centro storico. E l’autore è Michelangelo Merisi da Caravaggio.