più libri, più liberi
Free Call 3396773320

PROVA ORALE – La Coppa UEFA

Era l’ultimo giorno della prova orale. Le sottocommissioni im­pegnate di pomeriggio manifestavano nervosismo, nondimeno i candidati. Si operava alla rinfusa. Stanchezza a parte, la motivazione stava nella partita di calcio, che sarebbe andata in onda – diretta tv – alle diciotto.

In palio la coppa UEFA. Cosa estremamente importante, se si con­sidera che il calcio da noi – e non solo – costituisce lo spettacolo più scon­volgente.

La rappresentazione si crea attimo per attimo nello stadio, sotto gli occhi dei tifosi. L’azione, imprevedibile, genera colpi di scena e su­spance. Momenti frenetici, canti, gridi, applausi e insulti sono la godu­ria delle masse. Come resistere alla tentazione di assistere alla partita?

«C’è qualcosa che non va. Serpeggia una certa agitazione» disse il presidente, fermandosi sulla soglia.

«Fa finta di non sapere? Da buon italiano non può ignorare che sta­sera si decide se andremo in finale. Questione di vita o morte! La Germania non scherza mica!» rispose Paride Cazzador, allenatore dei “Pulcini” e responsabile regionale di pallamano.

«Capisco. Ma cerchiamo di lavorare in modo equilibrato e di non perdere le staffe. Mancano quattro ore circa all’inizio dell’incontro, possiamo e dobbiamo contenere lo spasmo. Sic stantibus rebus, nel nostro Paese bisognerebbe sospendere ogni attività, paralizzare i servizi, tutte le volte che si gioca. E’ il caso di dire che viviamo nel pallone! ».

«Non proprio, ma… La solitudine genera angoscia e spesso si e soli pur stando insieme agli altri. Abbiamo bisogno di ritrovare i nostri istinti… liberare i nostri riflessi… difendere in qualche maniera l’ozio umano, prodotto dalla società industriale. In fondo si tratta di elementari esigenze psicologiche e biologiche. Ho studiato all’ISEF queste cose».

«Bravo! La scuola esige di tanta scienza e saggezza, visto che lo stadio diventa spesso teatro di violenza. Lo spettatore, a mio avviso, deve imparare a fare lo spettatore. Quasi sempre, invece, la sua identità si perde nella massa indifferenziata. Scoppia il desiderio di liberarsi dalla routine quotidiana, dando sfogo alle emozioni. E quando cresce a dismisura l’ostilità e l’avversario viene considerato nemico, la situazione è destinata a degenerare. Così lo spettacolo sportivo, ahimè! si trasforma in mattanza.

«È una verità inconfutabile: nei luoghi affollati cova la “tensione psichica”, perché si vogliono provare emozioni clamorose. Ci esperti del problema sono convinti, e non hanno torto, che l’impeto dell’irrazionale e l’imitazione acritica di taluni atteggiamenti, determinano una dele­teria dinamica di grappa. Questa, a sua volta, fa leva sugli istinti, eccita i sensi ed esclude la razionalità.

«Diventa più facile, in tal modo, entrare nella spirale della violenza, che colpisce lo spirito della competizione sportiva. Un insigne studioso, Lewis Numford, afferma che la passione per gli spettacoli circensi appartiene a quelle civiltà che vanno perdendo il loro vigore. Sono del parere che si debba riflettere… e moltissimo».

«Allora chiudiamo tutti gli stadi del mondo, caro presidente?».

«No. Ma occorre tanta Educazione, o meglio formazione civica. Negligenza, faciloneria, incuria del patrimonio collettivo vanno arginati, que­sti mali, con l’incessante stimolazione della sensibilità sociale. È chiaro che le Olimpiadi fabbricano professionisti, mentre le società calcisti­che si trasformano sempre più in S.p.a., tese ad investire iperbolici capitali, per creare miti. Moderazione, moderazione ci vuole, Cazzador!».

«Tutto sommato abbiamo bisogno di sognare, per vivere meglio!» rispose con fermezza il docente, mentre riprendeva il suo posto tra i colleghi.

Alle diciassette e trenta, erano spariti burattinai e burattini, diretti ai teleschermi di casa, dei bar, delle piazze… avidi di emozioni straordinarie.

Blasetti, ordinate le carte, rimase in compagnia di Bevilacqua, per godersi l’incontro internazionale in santa pace, nell’aula polivalente. Era un modo per chiudere in bellezza la giornata, l’ultimo round della sessione.

I disturbi del traffico esterno non gli impedirono di partecipare alle alterne vicende delle star del pallone. I guai, però, iniziarono alla fine della partita, per l’incontenibile esplosione di caos, dovuta alla vittoria degli azzurri.

Lunghissime file di macchine e di serpeggianti scooter inaugurarono il narcisismo meccanico di centauri irresponsabili, nelle folle corsa senza meta. Sorpassi micidiali, strombazzamento di clacson, eccitazione, frenesia, delirio collettivo!

Il tricolore del belpaese sventolava dappertutto, copriva lunghi cortei, ornava balconi e finestre.

Lo scenario richiamava alla mente il Risorgimento italiano, ma lo spirito era per lo più teppistico.

Un particolare colpì Blasetti, incollato alla finestra: moltissimi ragazzi – nutrita rappresentanza della “Pellico” – urlavano come forsennati, indirizzando agli sconfitti slogan e gesti di una volgarità inaudita. Sembravano assatanati. Alcuni si esibivano addirittura in pericolose acrobazie, tra striscioni e bandiere, mostrando muscoli e tatuaggi.

«Scuola italiana moderna!» sospirò innervosito il preside.

Bevilacqua, che seguiva con distacco il “torneo”, disse la sua:

«Se questa è la civiltà, occorre assegnare il premio Nobel agli zulù».

«Siamo in pochi ad essere d’accordo. Se ci sentissero gli scalmanati, rischieremmo il linciaggio! Bisogna far festa, si capisce, ma non è questo il modo. A tutto c’è un limite!».

La giostra infervorò i circensi in scorribande fino alle ventidue, quando le tenebre erano ormai profonde. Blasetti, in attesa, che la strada si liberasse dalle orde, giunse a casa molto tardi.