Due medicine parallele, verso una medicina integrata
Una precisazione e un chiarimento si impongono qui, rivolti tanto al lettore profano, quanto al medico: nessuna delle proposte di terapia descritte nel presente volume esimerà mai chicchessia dal dovere di fare ricorso al proprio medico, agli specialisti, alle strutture sanitarie, per affrontare e risolvere le malattie. Qui intendo proporre dei rimedi naturali che siano di supporto e di ausilio nelle terapie prescritte dal medico curante; soprattutto tenendo presente che le cure naturali, correttamente eseguite, non presentano controindicazioni, non comportano effetti collaterali, non interferiscono affatto con l’attività di una eventuale concomitante terapia farmacologica.
Il mio augurio è che “il treno della salute” si muova contemporaneamente sulla rotaia della medicina ufficiale e su quella della medicina naturale, perché possa giungere, in questo modo, più rapidamente, e più sicuramente, alla stazione della guarigione. Questo è possibile, se non c’è prevenzione, da parte del medico, verso la possibilità di terapie naturali, né rifiuto preconcetto – eventualità, questa, anch’essa possibile – da parte di alcuni pazienti fanatici, perché fondamentalmente ignoranti. Solo la cooperazione, la collaborazione e l’apertura interiore verso il nuovo e verso il diverso, al di là di ogni forma di qualunquismo e di superficialità, possono produrre frutti di avanzamento della scienza, in questo, come negli altri campi della ricerca scientifica. Ricordiamo sempre che nessun individuo, neppure il genio, è detentore di tutta la verità, e che la ricerca, e soltanto la ricerca – che è il rincorrere continuo della verità – può definirsi vera cultura.
La teoria del treno sul binario vale anche a proposito del problema della necessità, o meno, della terapia chirurgica. Per la verità, il ricorso alla chirurgia non è mai stato considerato, dal medico serio e di coscienza, e dallo stesso chirurgo, una scelta da farsi con superficialità e con leggerezza. Solo eventuali mercenari della medicina, indegni di essere chiamati medici, possono utilizzare l’essere umano come cavia, o come pura fonte di guadagno. La terapia chirurgica è sempre intesa o come “extrema ratio”, o come “unica ratio”, oppure, in tanti casi, come la via più breve per giungere al risultato della salute: in ogni caso, è sempre presente una “ratio” nella mente di chi propone, e in quella di chi pratica l’intervento chirurgico. L’intenzione, cioè, è buona, quando ha come obiettivo finale la guarigione del malato, seguendo la via che si ritiene la più adatta a debellare un determinato male; sempre escludendo, naturalmente, il caso di eventuali commercianti della salute umana. Indico, anche qui, la possibilità di un cammino parallelo, in quanto una terapia disintossicante, perseguita mediante l’assunzione di determinate opportune tisane, o con altri metodi naturali che saranno descritti in questo volume, non può essere che benvenuta, dal momento che prepara il paziente ad affrontare l’intervento chirurgico – che si sia rivelato necessario – nelle condizioni fisiche le più idonee, avendo così buone probabilità di evitare eventuali complicazioni intra e postoperatorie. E questo anche con buona pace del chirurgo, che avrà meno noie, e più soddisfazioni. La terapia naturale disintossicante potrà accompagnare il paziente anche nel decorso postoperatorio, per aiutarlo a digerire e a superare, quanto prima, l’inevitabile trauma chirurgico subito – vedi anestesia, ansia, intervento chirurgico demolitore, degenza ospedaliera, eventuali paure, ecc.. Senza dimenticare che, d’altra parte, un eventuale trattamento naturale andrà di pari passo con la terapia farmacologica post-operatoria.
È chiaro che, prima di arrivare alla terapia chirurgica, se non si tratta di un caso di chirurgia d’urgenza, sarà lecito e legittimo tentare di evitare l’intervento, mediante la messa a punto di una strategia fitoterapica, o di interventi con altre metodiche curative naturali, maldestramente dette “alternative”; non credo che a tanto si possa in alcun modo obiettare. Se l’intervento del chirurgo è l’”extrema ratio”, cioè l’ultima possibilità, vuol dire che si sono tentate prima altre soluzioni nel campo della medicina ufficiale: perché non provare a percorrere sentieri di guarigione, proposti dalla parallela medicina naturale? Si parla, poi, di “unica ratio”, perché non si è esplorato altrove, e non sono state tentate altre vie, perché non le si conosce. Questo ragionamento vale anche per la convinzione del medico, che propone la chirurgia come la via più breve per vincere un male: io sto qui ad indicare altre vie, propongo di percorrerle, e di farle percorrere, prima di arrivare alla decisione definitiva di un intervento chirurgico. Non dico che così si eviterà la terapia chirurgica, ma dico che sia giusto tentare altre vie, quando si sia aperta davanti al paziente la possibilità di muoversi lungo un percorso alternativo. Restano sempre fuori discussione la validità e la necessità della chirurgia d’urgenza, in tutta la sua vasta gamma operativa.
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L’introduzione, in terapia, di qualunque proposta innovativa, deve ubbidire al principio inderogabile del “primum, non nocere”. In altre parole, la cosa fondamentale che bisogna salvaguardare, è che, in ogni caso, non si faccia del male agli altri: si può anche, al limite, non apportare alcun giovamento, e deludere le attese, ma ciò che conta è che non si siano arrecati danni ulteriori, per cui si debba dire che il rimedio è stato peggiore del male. La farmacoterapia, purtroppo, con tutti gli sforzi che compie, sotto tanti punti di vista veramente ammirevoli – si pensi ai tanti ricercatori onesti e umani, impegnati nel campo della farmacologia, e ai tanti medici che lavorano nell’anonimato, come veri missionari, nella quotidiana lotta alle malattie – non può garantire l’assenza totale di effetti farmacologici indesiderati, o di una qual certa carica di tossicità, che accompagna sempre il farmaco di sintesi. È triste prendere atto di questa impotenza a garantire la innocuità totale di una sostanza farmacologica, quando si pensi a quanto lungo e tormentato cammino si sia dovuto percorrere, per giungere all’uso pratico di quella sostanza nella terapia medica. L’iter farmacologico prevede una selezione severissima: di 2000-3000 sostanze di nuova sintesi, una sola è ammessa a proseguire l’esame. Questa, poi, deve superare la prova – triste quanto mai, ma forse ineliminabile allo stato attuale della ricerca farmacologica – della sperimentazione sull’animale. E quando pure giungesse al traguardo di diventare un farmaco, il risultato finale potrebbe rivelarsi un fallimento, nell’impiego pratico farmacoterapico in clinica medica. “Mons peperit mus”: la montagna allora ha partorito un topolino, dopo tante doglie. Sarebbe, questa, una delusione, ma altresì un fatto positivo, se paragonato – per fare un solo esempio – al destino catastrofico della talamonide, che, attraverso la sua azione teratogena, ha creato circa 10.000 focomelici.
D’altra parte, il farmaco promosso, una volta introdotto nell’organismo, quando ha svolto il suo compito, o anche se non l’avesse svolto, deve essere inattivato ed eliminato, perché, la sua prolungata presenza nel corpo, lo rende più o meno altamente tossico. I processi di disintossicazione, o di svelenamento, relativi al farmaco circolante, sono a carico soprattutto del fegato – il grande laboratorio chimico dell’organismo – e dei reni, l’organo emuntore numero uno. Lo svelenamento comporta un notevole lavoro metabolico di tutto quanto l’organismo, per cui, in alcuni casi, al danno si aggiungerebbe la beffa, se, per stare bene mediante la farmacoterapia, si dovesse arrivare ad una intossicazione da farmaci, se l’opera di disintossicazione risulta insufficiente e inadeguata.
La farmacodinamica delle tisane elude tutti questi inconvenienti, perché le erbe medicinali, se utilizzate opportunamente in terapia, non presentano controindicazioni, né minacciano effetti collaterali. Non hanno, cioè, tossicità; ma, anzi, mentre da una parte non impegnano il fegato e i reni – e gli altri depuratori dell’organismo – nell’opera di svelenamento, perché non sono tossiche, dall’altra parte sono attivatori dei sistemi depuratori stessi, nella loro funzione costante di neutralizzatori e di filtri eliminatori delle tossine endogene, circolanti nell’organismo. Con una fava, allora, si prendono due piccioni. È per questa ovvia convenienza che propongo di provare a far muovere il treno della salute soltanto mediante il ricorso ai rimedi naturali, nei casi nei quali ciò sia possibile, e nei quali si possa fare a meno delle terapie farmacologiche. Potrebbe essere, perlomeno, una linea tendenziale, visti i grandi vantaggi che le terapie naturali offrono, e l’assenza “quasi totale” di controindicazioni, se l’uso dei metodi naturali è oculato, mirato, controllato, e, soprattutto, approfondito, e reso operativo dall’impegno di ricercatori seri ed onesti.
Ho posto tra virgolette il “quasi totale” relativamente alla tollerabilità delle terapie naturali, perché non è da escludere “in assoluto” che si possano verificare casi di intolleranza individuale accertata nei confronti della farmacodinamica di cui sono dotate anche le cosiddette medicine naturali. Nel qual caso è sufficiente desistere, per essere tranquilli, e si tentano altre vie: non c’è niente di assoluto sulla terra, e quindi neppure nello sterminato campo della salute e delle terapie.